giovedì 29 dicembre 2011

La prima recensione al mio libro

Grazie al blog Polevere alla Polvere ed a Stefania.
 La prima recensione al mio libro IL SIGNORE DELLE OMBRE  la potete trovare QUI

mercoledì 28 dicembre 2011

IL SIGNORE DELLE OMBRE - Cap 1-

Guardai di nuovo l'orologio, erano ormai delle ore che la mia matita non aveva fatto nessun tipo di progresso.
Il crepuscolo aveva iniziato i suoi giochi di colori rosso, giallo, arancione e viola con sfumature vicine al nero; spesso, le tinte del cielo riescono a prendere dei colori incredibili, che nemmeno il pennello di un pittore riuscirebbe a catturare, ma, nonostante tutto questo incanto, la giornata non era stata fra le migliori.

La prima delle due tavole alle quali stavo lavorando non andava avanti.

Dovevo illustrare una delle storie mitologiche da me preferite:Orfeo, per una rivisitazione moderna di una giovane autrice che stava facendosi strada fra i maestri delle letteratura gotica moderna indipendente, ed alla quale era stato proposto di inserire nel libro delle illustrazioni; cosí incuriosita da questo nuovo progetto avevo deciso di partecipare al bando di concorso che la casa editrice Locopress aveva organizzato.
Avevo scelto di illustrare nelle due tavole di prova del bando: la discesa agli Inferi e l'incontro con Ade, e la parte finale dello smembramento di Orfeo.
Ma proprio quel viso tanto decantato da Ovidio nelle sue Metamorfosi, non riuscivo a disegnarlo come volevo, lo avevo fatto e rifatto giá tante volte e cumuli di fogli arrotolati erano sparsi sul paviemento, la mia frustrazione aveva raggiunto il limite, decisi quindi di uscire a fare una passeggiata. Sapevo che mi sarei sicuramente calmata solo camminando.

Presi il giaccone di pelle nera, lo indossai, chiusi la porta alle spalle ed iniziai a camminare nel traffico caotico del centro cittadino, in modo anonimo, come tante altre sagome con lo stesso giaccone nero addosso persi in chissá quali pensieri, in quella serata di fine inverno, il lettore mp3 alle orecchie con la mia musica preferita.
Andai al parco piú vicino al mio appartamento; spensi la musica e mi sedetti su una panchina.

In momenti di blocco creativo mi aiutava camminare in mezzo alla natura, ascoltare la sua voce, trovare quella simbiosi che resettava la mia mente, osservare tutto quello che mi stava intorno nascosta dai miei occhiali dalle lenti blu anche quando non c'era il sole. Una abitudine italiana, esportata nel mondo, in cui gli accessori sono una parte fondamentale della personalitá di un individuo, per me, una barriera che mettevo con il mondo esterno.
Le giornate si erano allungate notevolmente, il vecchio inverno stava muorendo aprendo le sue braccia alla giovane primavera.

Gli uccellini avevano iniziato a fare ritorno nei loro nidi ed al gracchiare delle cornacchie si erano uniti i cinguettii che annunciavano l'arrivo della tanta attesa nuova stagione.

L'odore della primavera iniziava ad inebriare l'aria, gli alberi che erano stati coperti di neve fino alla settimana prima, apparivano come scheletri: la veste bianca che li aveva ricoperti durante l'inverno, dando loro delle forme di pura arte naturale dalle caratteristiche mistiche, si era sciolta, ed iniziavano ad apparire le prime gemme primaverili. A breve le foglie verdi sarebbero esplose, donando loro una veste nuova e brillante.
Attraversai il parco e continuai a camminare fino al porto. Una lieve brezza si era alzata lungo il molo, ma ancora non sentivo quella sensazione di benessere e questo poteva significare solo una cosa: ero davvero molto stanca.

Mi fermai sulle scale del vecchio porto e mi sedetti a guardare il mare, che ancora era una lastra di ghiaccio molto spessa. Non troppo lontano dalle scale, vidi dei giovani skaters che stavano provando i loro nuovi numeri nell'area apposita, poco distanti dalla piccola spiaggia, che in estate sarebbe stata un brulicare di bambini e genitori, risate e pianti, tuffi e giochi sull'acqua.

I bar che si trovavano lungo il molo avevano iniziato a disporre le sedie nelle terrazze. Le varie navi della Viking Line, con il loro corpo maestoso di colore rosso e bianco, stavano aspettando gli ultimi imbarchi verso la Svezia o la Danimarca o l'Estonia: era il fine settimana e molte persone approfittavano per farsi un viaggio.

Una delle mete preferite dai finlandesi era proprio Tallin, sia per il basso costo della vodka, sia per le offerte che ogni settimana venivano lanciate dalle compagnie navali, che avevano fatto di queste escursioni un vero e proprio buisness.
Avevo spesso desiderato fare uno di questi viaggi: spendere la notte nella cabina, arrivare la mattina a Stoccolma o Tallin, girare la cittá tutto il giorno, e fare ritorno con la stessa nave e la stessa cabina, non era neppure caro acquistare un biglietto che comprendeva il pernottamento, ma avevo sempre dato la prioritá ad altre cose; e comunque da sola non mi ispirava affrontare un simile viaggio.

Mi guardai di nuovo intorno, amavo lasciarmi distrarre da tutti i particolari che mi circondavano, per sfuggire a quella fastidiosa irritazione, che mi colpiva ogni volta che pensavo alle cose che avrei voluto fare e non avevo ancora fatto, che secondo i miei calcoli erano giá troppe.

Sentii lo schiocco tipico dell'apertura di una lattina e la conseguente risata soddisfatta.
Dei ragazzi poco piú che maggiorenni seduti non lontani da me, avevano aperto la loro ennesima birra; ai loro piedi giaceva la busta di nylon con su stampato il nome del supermercato e brulicava giá di lattine vuote. Il reciclaggio in Finlandia funziona: per ogni lattina ti danno 20 cents, e per ogni bottiglia da 1 litro e mezzo di limonata arrivi persino ad avere 40 cents, tante volte l'accumulo di bottiglie di coca cola e fanta mi avevano permesso di sbarcare il lunario e di fare la spesa senza spendere piú di tanto.

Secondo i miei calcoli in quella busta a fine giornata sarebbero stati di sicuro un 5e; la metá del prezzo delle 12 lattine di birra che avrebbero comprato il giorno dopo; pensai a quanto fosse triste buttare via cosí la loro giovinezza, ubricarsi ogni giorno o finesettimana, provare gioia in questa azione, sentirsi dei superman alla dodicesima birra per poi svegliarsi con dei mal di testa assurdi ed impossibilitati ad avere una posizione eretta il giorno seguente, o peggio, nell'elenco delle persone scomparse.
Tutto questo era parte della cultura nordica, era venerdí ed era normale.

I lunghi inverni con la luce accesa tutto il giorno erano una cosa normale, le estati con gli scruri ben chiusi perché le ore senza luce si riducevano al minimo erano normali, vedere gente ubriaca alle fermate dell'autobus era normale, avere dei ricordi che colpivano come pugnali affilati era normale, il sentire gli anni sfuggire di mano, senza poterli fermare, questo, non era normale, era terrificante.

Tornai a guardare il mare,sforzandomi di ignorare, per l'ennesima volta, quella familiare irritazione, che prepotentemente stava assalendomi di nuovo, colpendomi in modo ancora piú duro quando pensavo al rapido scorrere del tempo, fecendomi sentire come una nave alla deriva che aveva perso il controllo dei comandi di guida, dando voce a quella sensazione di fallimento che si insinuava nel mio cervello ogni volta che pensavo alla mia etá, la frustrazione nel constatare che non avevo concluso nulla di importante nella mia vita. .Non avevo un lavoro fisso, non avevo una relazione sentimentale , il futuro era un enorme punto interrogativo che minaccioso dondolava sopra la mia testa come la spada di Democle su Cassandra. Il sentirmi vecchia a 38 anni.
Mi alzai dalle scale di pietra del porto, ricordando il vero motivo per cui ero uscita a passeggiare e decisi di andare alla fermata del tram, per raggiungere il mio posto speciale, dove sapevo sarei riuscita a ricaricarmi.

Ogni volta che andavo in quella zona periferica e benestante di Helsinki, avevo la sensazione che il tempo si era fermato in un determinato momento e mi illudevo cosí di fermare anche per poche ore il tempo a me legato.
Li, fra case ed alberi si nascondeva quella torre che da anni volevo acquistare.
Quel sogno che mi perseguitava fin dalla prima adolescenza, e che mi aveva portato fin li, quell'unico desiderio che volevo ad ogni costo realizzare.

L'avevo trovata per caso durante una delle mie escursioni i primi anni che vivevo in cittá, la desiderai, sentii che quel luogo mi chiamava; e prima che il mio orologio biologico segnasse il numero 40 doveva essere mia in un modo o nell'altro.
Il breve viaggio dal centro, con il tram, prendeva poco piú di 15 minuti. Lungo il tragitto guardavo scorrere i vari negozi, che stavano per chiudere, i vari bar che iniziavano a riempirsi di gente.

Vidi ragazze tutte tirate: nei loro occhi si leggeva la certezza che quella notte non avrebbero dormito da sole; non cercavano il grande amore quelle li, cercavano solo qualcuno con cui divertirsi, fare sesso e scroccare qualche bevuta, un nuovo modo di vendersi, per una birra o un long drink, una sensazione di schifo mi nauseó.
Spostai il mio sguardo ed iniziai a vedere il mare e finalmente il capolinea.
Il tram aveva la consueta pausa di 5 minuti prima di ripartire con il nuovo giro che tornava verso il centro.
Senza fretta scesi rischiando di scivolare, la primavera stava sí avvicinandosi, ma la sera le temperature erano ancora molto fredde e la neve che si era sciolta durante le ore di sole, diventava cosí un lastrone invisibile di ghiaccio, che spargeva trappole per ogni dove soprattutto alle fermate di autobus e trams.
Respirai a pieni polmoni l'aria fresca, priva dello smog cittadino che veniva dal mare, iniziavo a sentirmi giá meglio.

Il caffé che tanto amavo era ancora aperto: un edificio tipo baita di montagna con una calda atmosfera familiare, che aveva la terrazza sul mare.
La cittá brulicava di caffé, ma questo era speciale, lo avevo sempre sentito tale, sia perché era quello che piú si avvicinava ad una pasticceria italiana,sia per il suo aspetto da fiaba. Era una casetta piccolina in legno, come quelle che da bambina ero solita vedere solo lungo la strada per arrivare a Monte Amiata, nelle mie escursioni domenicali con mio padre quando andavamo a sciare; all'interno c'erano tendine rosse e verdi, candele su ogni tavolo, ed era questa familiaritá, questo sentirsi a casa seppure in una terra straniera che me lo aveva fatto amare dal primo giorno in cui l'avevo trovato, quasi per caso, tanti anni prima; quando piena di aspettative e speranze avevo deciso di trasferirmi nella terra delle renne e di Babbo Natale.
C'era una spiaggetta accanto al caffé, dove in primavera vi tornavano una coppia di cigni ai quali davo dei pezzetti di pane da mangiare ogni volta che andavo la: adoravo la regalitá di questi uccelli ed il loro canto; trovavo affascinante che fossero abituati alle persone; non fuggivano via ogni volta che qualcuno li avvicinava, ed erano abituati ad essere immortalati nelle foto dai turisti, io stessa lo avevo fatto, ma era ancora troppo presto per ritrovarli, era ancora troppo freddo.
Mi sedetti su una delle pietre piú grosse che erano nella spiaggia, guardai l'immensa distesa di ghiaccio, mi accorsi che la primavera sembrava essere iniziata solamente in terra ferma.

In lontananza notai una nave rompi ghiaccio, ancorata: pensai che aveva avuto piú lavoro degli anni precedenti; l'inverno, era stato molto freddo, lungo e tipicamente nordico.
Il sole era ormai scomparso all'orizzonte; in lontananza si vedevano ancora le ciminiere fumanti, che alimentavano i riscaldamenti delle case, il fumo che sputavano assumeva sempre delle forme interessanti. C'era anche un vecchio faro ormai in disuso e piccole isolette naturali di pietra probabilmente risalenti al periodo neolitico, con la piccola luce rossa giá accesa, per segnalare alle navi la presenza di un ostacolo.

Prima che l'oscuritá avvolgesse tutto con il suo mantello nero, mi ricordai il motivo per cui mi trovavo in quel luogo: dovevo andare alla torre, per assicurarmi che non l'aveva ancora comprata nessuno.
La torre si trovava al centro di quella che poteva sembrare una tenuta e forse in passato lo era stata, si vedeva chiaramente che si trattava di un edificio mediovale ristrutturato in tempi moderni, disabitata da anni, forse perché troppo cara o forse perché incuteva una certa soggezione. Aveva un giardino che la circondava, con alcuni alberi sparsi qua e la da anni non curati, i mattoni rossi erano nascosti da una vigorosa edera che con i propri rami si intrecciava attorno a tutta la costruzione, dandole in estate, un'impressione ancora piú tetra.
Osservai le piccole finestre, contandole per l'ennesima volta, quando improvvisamente ebbi l'impressione di vedervi il viso di una persona in una delle finestrelle piú alte, uno strano brivido corse lungo tutta la mia schiena, ed un dubbio inizió ad insinuarsi nella mia mente.

© Diana Mistera -lavoro coperto da copyright.























domenica 25 dicembre 2011

Christmas Carol


C'era una volta un bambino, che amava giocare con delle palline colorate, le faceva volare, le lanciava in aria o per tutto il giardino, oppure le lanciava lontano nel cielo infinito e piú su, e quelle che lanciava cosí lontano non tornavano indietro. Come ogni collezionatore che si rispetti si prendeva cura di loro in modo certosino: se vedeva della polvere sulle palline le spolverava, se vi vedeva delle crepe, guardava fra le altre palline se c'era una pallina nuova, lucida, bella e dello stesso colore con cui sostituirla e la sostituiva. Le sue palline dovevano essere belle e splendenti, perché vi ci giocasse. Viveva in un posto magico, un posto che visitavo spesso, soprattutto nelle lunghe notti invernali.

Era un posto pieno di verde e di fiori, era un luogo dove sentivo pace e felicitá,dove il tempo che vi ci trascorrevo alla fine mi sembrava sempre troppo poco.
E parlavo con questo bambino che sorrideva e rideva, giocando felice con tutte le sue palline colorate.Un giorno gli dissi:
”Certo che hai una bella collezione di palline...”
Lui orgoglioso rispose ”si..mi mancano solo 3 colori..poi li ho tutti...”
” quali colori non hai? Io li vedo tutti...”
” il colore oro, il colore argento, e quello del bronzo” rimasi in silenzio a guardarlo mentre stava lucidando una bellissima pallina blu fra le piccole dita, poi dissi ” magari te li posso mandare io questi colori..quando torno laggiú, magari le trovo queste palline che ti mancano” Il bambino annuí in silenzio, continuando a lucidare la sua pallina.
Cosí, ogni volta che tornavo da laggiú in questo giardino di cui lui era il re assoluto, gli portavo tutte le palline colorate che riuscivo a raccogliere, e che magicamente trovavo in posti inconsueti, sperando un giorno di trovare le tre che mancavano alla sua collezione.
Quando finalmente iniziai a trovare le palline d'oro, invece di portarle a lui, le tenni per me, non avevo piú tanto tempo per andare al giardino e le palline d'oro erano comunque molto belle, come quelle di argento, ed i miei viaggi al giardino iniziarono a divenire sempre meno frequenti, ed ogni volta che andavo dal bambino lo vedevo sempre piú triste, la collezione di palline sempre meno vivace di colori, ma non vi detti particolare importanza.
La vita di sotto era diventata frenetica, e limitavo i miei viaggi solo quando avevo delle palline di bronzo da dargli, non riuscivo piú a trovare le palline colorate, ma non detti importanza neppure a questo.
Un giorno, stanca dei tutte le palline d'oro e dargento che mi circondavano pensai: ” che ci faccio con queste palline dorate...luccicano sono belle, ma non sono di alcun uso per me, cosí quelle di argento, mi mancano i colori....” e decisi di tornare a trovare il bambino per dargli finalmente le palline che mancavano alla sua collezione.
Quando arrivai al giardino fui colpita dalla tetrezza che lo aveva avvolto, cercai il bambino, lo cercai per ogni dove e non lo trovai, intanto le palline d'oro e quelle d'argento iniziavano ad essere pese, il giardino che era sempre stato bellissimo era pieno di buche, in cui cadevo miseramente e rialzarmi era faticoso con tutto il peso delle palline d'oro e d'argento addosso.
Trovai una grotta decisi di riposare, quando mi sedetti all'interno notai che non l'avevo mai vista prima una grotta in questo posto, mi appoggiai alla fredda roccia, decisi di accendere un fuoco con dei piccoli legnetti che avevo trovato all'interno per riscaldarmi e riposarmi,notai che stranamente, per la prima volta, il giardino fuori era coperto dalle tenebre.
Quando la flebile fiamma illuminó la caverna, notai un vecchio, aveva gli stessi tratti del bambino. Mi guardava tristemente, e mi chiese:
”cosa stai cercando in questo posto desolato?”
” cercavo un bambino, ero solita venire spesso qui e portargli le palline colorate...ma non lo trovo”
” ah si le palline colorate...é tanto tempo che qui non arrivano palline colorate”
” gli ho portato anche quelle che voleva per la sua collezione...quelle d'oro e quelle d'argento”
” come mai sono cosí tante?”
Non seppi rispondere, mi sentivo avida, sporca, mi sentivo una traditrice. Il vecchio sospiró e disse
” io sono il bambino che cerchi...quando hai smesso di venire qua con le tue palline colorate, anche i colori di questo posto sono andati sbiadendosi, se prima quando lanciavo le palline nel cielo infinito, non tornavano, se non quando tu le ritrovavi, la mia collezione colorata perse i suoi colori, e mi rimasero solo le palline di bronzo...che non luccicano, non sono vive, non sono belle.....sai alla fine io ero contento con le mie palline, non avevo bisogno di quelle d'oro, ne di quelle d'argento, ne tantomeno di quelle di bronzo..le palline colorate erano le mie preferite...”
” ma non c'era nessuno che ti portava le palline colorate?”
Il vecchio sospiró e tristemente disse
” le palline colorate erano i tuoi sogni...quando hai smesso di sognare non avevo piú palline con cui giocare... sto morendo...non ci faccio nulla con le palline d'oro e di argento che adesso mi hai portato...sono i colori quelli che mi tenevano vivo..la pallina d'argento era un sogno che volevi realizzare, come lo era quella d'oro, ma erano sogni anche se apparentemente meno importanti anche quelli racchiusi nelle palline colorate, quelle che rendevano felice me quando vi ci giocavo, e te quando venivi a trovarmi...Adesso guarda quanti sogni irrealizzati hai collezionato...solo perché hai smesso di cercare le palline colrate...ed hai smesso di giocare con me...”

© Diana Mistera 25.12. 2011


martedì 6 dicembre 2011

L'UOMO CON LA PIPA

Il cielo splendeva di un colore rosso brillante, si annunciava una giornata fredda. Camminavo attenta a non scivolare nella lastra di ghiaccio che era la strada e notai una nuvola con una forma vivida, chiara, e di dimensioni molto grandi, insolite per una singola nuvola, ed aveva assunto la forma di un uomo di profilo con la pipa, dicevo fra me, non curante della gente che mi guardava e pensava che forse ero una delle tante folli che si vedono in giro, dato che osservavo quella nuvola come ipnotizzata: era la seconda volta in tutta la mia vita che ne vedevo una con una forma cosí marcata, era come vedere il negativo di una foto, e mille pensieri si susseguivano in un carosello di ipotesi, paure e domande, perché, sentivo che quella nuvola non era una semplice nuvola, come non lo era stata quella che vidi 9 anni fa, in un pomeriggio di metá maggio del 2002, quando al telefono con il mio amico pranoterapeuta stavamo parlando dei messaggi che a volte le nuvole possono mandare...e scetticamente dicevo..mah si...alla fine sono nuvole, composte di vapore acqueo, sono solo nuvole. E quella mattina quella semplice nuvola, enorme, in un cielo rosso, mi stava trasmettendo una sensazione di paura, preoccupazione, disagio, diversamente da quella di 9 anni fa che invece mi aveva trasmesso gioia. Forse era colpa del documentario che avevo visto la sera prima sulla fine del mondo nel 2012 secondo i Maya, che invece di suscitare in me curiositá e distacco, aveva suscitatato rabbia e scetticismo..la fine del mondo nel 2012..si...certo..ma di quale mondo? Ogni giorno muoiono persone, ogni giorno la falciatrice continua il suo lavoro non curante del calendario dei maya, per lei non esistono calendari, lei fa il suo lavoro e quando arriva, per quella vita é la fine.
Camminavo con le mie congetture mentali, pensando al mio piccolo mondo, quando improvvisamente ero davanti al supermercato, le mie gambe ed i miei piedi sembra che conoscano bene la strada e, camminano anche se la mente vaga altrove, loro hanno il loro percorso e quella mattina dovevo comprare il caffé che era finito. Quando gambe e mente si trovarono finalmente e nuovamente connesse, si fermarono: davanti a me un anziano era steso nel freddo e duro marciapiede, mentre un giovane cercava di chiamare l'ambulanza e dare le informazioni giuste al medico, mentre la gente passava pensando si trattasse dell'ennesimo ubriaco, i nostri sguardi si incontrarono perché io non sono di questa terra se vedo un uomo a terra non penso che sia solo un ubriaco, penso che sia una persona che si é sentita male, come lo pensava anche il giovane che stava al telefono maneggiando fra il cellulare e la borsa della palestra, anche lui capelli neri ed occhi scuri, sicuramente non di questa terra, e mi chiese di aiutarlo...io che ancora pensavo alla nuvola, lo aiutai, dato che tutti guardavano ma non facevano nulla, presi a sistemare i tavoli del mercato, perché era il primo lunedí del mese e come tale, giorno di mercato. L' anziano a terra era caduto di fianco, mi abbasso per sentire il polso, le pulsazioni erano assenti e dico al giovane al cellulare che non c'erano pulsazioni, dolcemente sollevo la testa dell'uomo, assicurandomi comunque di non girarla del tutto con in mente un corso di pronto soccorso fatto in uno dei tanti corsi organizzati per gli stranieri, per vedere se stava respirando e noto gli occhi , che sicuramente erano stati di un bellissimo celste intenso, tipico di questa terra, ma le pupille erano dilatate , senza vita e dico al giovane, é morto la sua anima non é piú qui.
In ginocchio stavo accanto a quel guscio ormai vuoto e notai la pipa accanto all'uomo, mentre il giovane mi diceva ” e' caduto all'improvviso davanti a me, mentre accendeva la pipa...” ed io guardavo il profilo dell'uomo...e guardai il cielo..la nuvola era davanti a me, con quel profilo dell'uomo in procinto di accenderla e quanto vivido era questo negativo di questa foto assurda, scattata in una fredda mattinata di inverno, di un giorno normale, di una quotidianitá normale per molti ma non per me che ancora seduta sui miei talloni accanto all'uomo aspettavo i medici incredula e guardavo: era un uomo anziano, che quel lunedí mattina sarebbe andato a fare il suo giro al mercato, aveva indossato i suoi abiti puliti e caldi, quelli che si mettono per le occasioni speciali; quando si arriva ad una certa etá non ci curiamo piú ne della moda ne di nulla e nel nostro armadio ci sono i vestiti di tutti i giorni e quelli della festa..lui indossava quelli della festa e mi chiedevo mentre i medici cercavano di rianimare quel guscio vuoto ” chissá che non aveva previsto o sentito che quel giorno sarebbe iniziato per lui un nuovo viaggio, ed aveva deciso di affrontare questo viaggio con le cose a lui piú care: la sua pipa ed i vestiti da festa, lui era pronto...” ma io no...non ero preprata a questa esperienza, io pensavo ai regali di natale, le etichette e la carta da regali...e sono rimasta seduta sui miei talloni incredula, quegli occhi celesti con la pupilla dilatata impressi nella mia mente, mentre la nuvola lentamente si era dissolta, il cielo da rosso era diventato celeste ghiaccio e quel profilo in negativo aveva trovato la sua fotografia e adesso sorrideva mentre fumando la pipa si allontanava dal mio mondo, dal natale, dal calendario dei Maya mentre io finalmente riuscivo a scoppiare in lacrime e mi incamminavo verso casa con gli sguardi della gente addosso, che senz'altro tutto avranno pensato tranne che avevo appena visto morire uno sconosciuto, nel mese di natale, nel mese dei regali, mentre la vita tornava a scorrere con le sue routines, un cambiamento era accaduto ed era successo dentro di me.
© Diana Mistera 6.12.2011






Cristiana Meneghin , Le Gemme Dell'Eubale- blogtour

NOVITÁ

 Ciao a tutti che dire , ci ho messo mezz'ora per riuscire ad entrare nel blog, questo succede quando passano troppi mesi dall'ultim...